


A Catania nel 1435 viene costituita la "Maestranza dei Vigneri". Questa importante associazione di viticoltori, operante sull'Etna, creò la basi per una professionalità vitivinicola di cui protagonisti erano gli stessi produttori-viticoltori.
Dopo 500 anni, I Vigneri è una realtà operante sull'Etna ed in Sicilia orientale.
I Vigneri è oggi il nome dell'azienda vitivinicola di Salvo Foti () e di un gruppo di viticoltori autoctoni etnei, veri professionisti della vigna.
I Vigneri è la sintesi di una esperienza più che trentennale svolta in Sicilia Orientale, attraverso una ricerca storica, sociale e tecnica finalizzata ad una vitivinicoltura di "eccellenza". Cercando di utilizzare strumenti e sistemi non invasivi, nel rispetto, fin dove è possibile, della tradizione, dei propri antichissimi vitigni, senza apportare stravolgimenti enormi dettati da velleità, egoismi o onnipotenza. Lo spirito del lavoro e il piacere di ben lavorare e fare, senza frenesie, in armonia prima di tutto con se stessi e quindi con tutto quello che ci circonda: ambiente, natura, il vulcano Etna, di cui si è parte, non al di sopra. I Vigneri è anche un sistema organico di fare vitivinicoltura nel rispetto dell'ambiente in cui si ci trova.


Il terreno è vulcanico, terrazzato. I muretti a secco sono chiazzati di muschio sempre verde. Non si tratta di biodinamica, ma di una coltivazione antica che rispetta l'equilibrio naturale di questo ambiente. La vite risente della situazione pedoclimatica estrema. I cambiamenti climatici sono veloci ed inaspettati (l'Etna è un nord nel sud!). Le temperature invernali sono abbastanza rigide. La viticoltura esistente è di tipo primordiale. La zona non è ambita dal punto di vista turistico e questo ha consentito un mantenimento quasi intatto del territorio, senza l'invadenza prorompente dell'uomo. La vite è allevata ad alberello, 8-9.000 viti per ettaro. Può essere solo coltivata a mano, con piccoli mezzi agricoli poco invasivi (motozappe), o utilizzando il mulo. Temperature invernali rigide, ma calde nel periodo estivo, con sbalzi di temperatura tra giorno e notte notevoli (anche 30 gradi). I vitigni sono diversi e in miscellanea nella vigna. Il terreno vulcanico, sabbioso, è contraddistinto da uno scheletro importante formato da pietre generate dalla disgregazione della lava, qui di origine antichissima. Il terreno cambia continuamente, diventando profondo e fertile in certi punti o pochissimo profondo, con roccia vulcanica affiorante, in altri.
Tra i bianchi, oltre al tipico Carricante, si trova la Malvasia, la Visparola (antichissimo vitigno autoctono), la Minnella e il Grecanico. I vitigni rossi sono il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio, l'Alicante e il "Francisi".



Tra la vite e l'ambiente vi è una lotta per la sopravvivenza. Le piogge possono arrivare inaspettate in qualsiasi momento, dipende dai venti che arrivano dal mare e portano con se che portano nubi cariche di acqua e qualche volta di grandine. Esse anche se abbondanti non vengono trattenute dal particolare terreno vulcanico. Nel periodo estivo la siccità rende il terreno sabbioso asciutto e arido. Durante le molteplici lavorazioni estive, fatte per mantenere quanto più possibile la poca umidità nella terra sabbiosa, il terreno diventa una polvere impalpabile che si diffonde nell'aria rendendola irrespirabile e insinuandosi sin dentro le cavità più remote della pelle. La vite affonda le sue radici in un terreno per niente omogeneo formato dalle tante colate laviche succedutesi nei millenni. E quindi la dotazione in macro, ma soprattutto microelementi, è variabilissima. Ogni vite sembra avere una propria vita disgiunta dal resto. Dipende da dove e come affonda le sue radici nel terreno, se incontra terreno fertile o nuda roccia lavica. Le viti spesso soffrono di questa disomogeneità pedologica e dei frequenti eccessi climatici. Questa sofferenza è però uno stimolo per le piante, che provoca in esse una grande e ostinata volontà di sopravvivenza, e le induce a dare poco frutto, ma ricco. Mai troppo dolce o troppo concentrato, di buona acidità e di grande equilibrio. Pochi trattamenti con zolfo e poltiglia bordolese sono sufficienti a mantenere sani i grappoli d'uva.

L'arcipelago delle Isole Eolie deve il nome dal Dio Eolo, dio incontrastato dei venti. Sette isole disseminate lungo la costa nord orientale della Sicilia. Qualcuno dice che in veritò sono otto. L'ottava isola è l'Etna! Otto sorelle accomunate dalla loro vulcanicità, dalle sabbie laviche figlie dello stesso fuoco. Le viti sembrano qui sospese sul mare azzurro, in cui si immergono e da dove traggono i loro umori che doneranno al vino. Le vigne temperate dal vento, scaldate dal caldo sole e forgiate dall'uomo, sono formate da vitigni dai nomi che sanno di lontano, di altri lidi: il Corinto e la Malvasia tra tutti.
A circa 20 Km da Caltagirone, città ubicata a sud dell'Etna, vi è una Riserva Naturale: il Bosco di Santo Pietro. E' una delle aree verdi più rigogliose ed estese del Calatino. L'albero che contraddistingue il bosco di S.Pietro è la quercia da sughero (Quercus Suber), da cui si ricava il sughero per la produzione dei tappi da vino: la Sicilia Orientale è "naturalmente" vocata al vino!
Anche qui si è insediata la vite ad alberello. Sui suoli dal colore rosso intenso, sabbiosi, altre viti affondano le proprie radici. Vigne, la cromacità dello stesso terreno lo ribadisce, appropriate alla produzione di vini rossi intensi, a volte forti, ma sempre eleganti. Il Nero d'Avola e il Frappato (qui detto Nero Capitano) sono i protagonisti vitivinicoli indiscussi di questa parte di Sicilia.


La provincia di Siracusa è da sempre nota per la rinomanza dei suoi vini. Primo fra tutti il Moscato di Siracusa e di Noto, che S. Landolina Nava (1786-1802), identifica con il Pollio siracusano, detto nella Tracia Ellenica Biblico. Il vitigno principe e unico per la produzione del vino Nero di Pachino è il Nero d’Avola. Esso si può considerare il vitigno a bacca rossa più tipico e rappresentativo della Sicilia, escluso il territorio dell’Etna. il Nero d’Avola, detto impropriamente anche Calabrese (il sinonimo Calabrese è una “italianizzazione” dell’antico nome dialettale siciliano del vitigno “Calaurisi” che letteralmente significa “uva di Avola”) è stato selezionato dai viticoltori di Avola, comune in provincia di Siracusa, diverse centinaia d’anni fa, e da lì si è diffuso nei comuni di Noto (Sr) e Pachino (Sr) e successivamente in tutta la Sicilia. E’ un vitigno che opportunamente coltivato (basse rese per vite) e vinificato dá origine a grandi vini rossi da invecchiamento in cui le sensazioni olfattive di frutta rossa, anche dopo lunghi anni, rappresentano la componente più importante e caratteristica insieme ai tannini tipicamente “dolci”, non “allappanti”.
Le differenze sostanziali, l’eccellenza di questo territorio, più a sud di Tunisi, estremo lembo della Sicilia sud-orientale, figlio dei mari e dei venti, sono anche qui al meglio interpretate ed espresse dalla coltivazione tradizionale del Nero d’Avola ad alberello.

Pantelleria, rilucente scoria vulcanica, figlia del vento e del fuoco, è un’isola a tutti nota. Il Passito, insieme ai capperi, è il prodotto più famoso di questa terra. Un vino a D.O.C. dal 1971, ma che esiste sull'isola da quando la dea Tanit riuscì, con questa “ambrosia degli dei” a conquistare l'amore di Apollo.
Tanti personaggi più o meno illustri, spesso non isolani, si sono cimentati nella produzione di questo “nettare”. Politici, attori, imprenditori, pochissimi i “coltivatori diretti”. Il passito di Pantelleria è prodotto con un vitigno unico, lo Zibibbo, sapientemente coltivato ad alberello dai viticoltori panteschi, dentro buche scavate nel terreno vulcanico per difendere la vite dal vento. La sapiente cultura contadina ha creato questo nettare dolce e suadente, unico e irripetibile, vera espressione di questa terra che più che adagiata sul mare, tra due mondi così diversi, l’Africa e l’Europa, sembra un’isola immersa tra le mobili nuvole che spesso la circondano.
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